venerdì 23 marzo 2012

L'orchestra

ROMA: c'era una volta un'orchestra che suonava insieme, era formata da tanti strumenti ed ogni esecutore, come molti artisti, aveva un ego decisamente spiccato. Erano decenni che, nonostante gli scontri sulle opere da eseguire, sul prezzo del biglietto da fissare, sulle esibizioni in programma, questo gruppo andava avanti. E gli spettatori che pendevano dai loro archi, dai loro fiati e dagli altri reparti erano un'infinità: dai 50 ai 60 milioni.
Ci furono tempi in cui quest'orchestra fu unita, altri in cui le discussioni presero il sopravvento, rischiando di spaccare quell'equilibrio che, seppur precario, aveva retto per tanto tempo. Poi, dopo che i violini si stavano per imporre sui flauti, arrivò un nuovo direttore, un tipo silenzioso, pacato, con gli occhialetti, chiamato per rassettare quel teatro scricchiolante che ospitava orchestra e spettatori. E cancellò tutte le dispute, come un padre padrone, come un pugno di acciaio fasciato di velluto: avrebbe ascoltato tutti, ma alla fine avrebbe deciso lui. Soltanto che, in barba a tante promesse, non eliminò quelle sezioni inutili, compromesse da strumenti vecchi che penalizzavano il pubblico, invece di sostituirle con pochi ma validi elementi, e in più decise di modificare unilateralmente le politiche di abbonamento del teatro, facendo rimanere fregati gli spettatori. Che da allora, non solo rischiarono di non trovare più il loro posto in platea, ma anche di pagare un biglietto molto, ma molto più caro.

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